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VIAGGIO A MISTERBIANCO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 febbraio 2004
 
di Paolo Poloni, documentario (Svizzera, 2003)
 
Di Paolo Poloni abbiamo saputo con ASMARA, che era già racconto di una cinepresa in viaggio. Da quella campagna lucernese attorno a Schüpfheim, dove il regista era nato, figlio d'immigrati, 40 anni prima, all'appartamento di Viganello, dove il padre riparava ombrelli da regalare agli amici, coltivava l'orto, e conversava con il figlio sulle loro origini.

Ricerca di una identità che sembra tormentare, ma al tempo stesso così felicemente stimolare il cineasta. Tanto che questo suo ultimo VIAGGIO A MISTERBIANCO si costruisce su presupposti non molto dissimili: " Sono al Brennero, alla frontiera. E' da qui che inizia il mio viaggio in Italia. Alla frontiera mostro il passaporto italiano. In fondo, sono italiano. Ma non ho mai vissuto in Italia. E' la terra di mio padre. E' il primo di novembre. Ognissanti. "

Quattro mesi di viaggio verso il sud di un'Italia tutta da scoprire; da parte di un italiano, mezzo svizzero ed in parte ticinese. Centoventi ore di filmato, tanto valeva una sete di conoscenza che traspare da ogni fotogramma di un film che tutto concorreva a divenire il classico, un po' risaputo diario di viaggio. Eppure, non è il caso. Perché Poloni (lo abbiamo visto in ASMARA, in FONDOVALLE e, prima ancora in WITSCHI GEHT) è un poeta della cinepresa. Definizione non azzardata: concerne qualcuno capace di lasciarsi andare, di prendersi tutto il tempo necessario, a fin che le cose vengano a lui. I personaggi, gli avvenimenti, i sentimenti più sensibili; ma pure la luce, i suoni, le musiche e le atmosfere.

E' incredibile il numero di tutte le sfaccettature dell'Italia contemporanea (la meno ovvia, la più periferica ma, in definitiva, la più giusta) che l'occhio dietro la cinepresa riesce a carpire per il suo film. A variare senza tregua quel suo mosaico: dagli esterni della road movie agli interni delle abitazioni più umili, dalle situazioni umoristiche a quelle grottesche, quasi tragiche Con una vena lontanamente felliniana, che le bellissime musiche originali di Gianni Coscia sottolineano con grande leggerezza.

I milanesi e i clandestini del Maghreb, gli aristocratici della lirica a Napoli fra senza tetto e drogati, il sindaco di quella mitica Misterbianco siciliana fra mafia e modernità, il mosaico non è mai casuale, spezzettato, facilmente compiaciuto sul filo della curiosità o dell'insolito. Ma costruito, al contrario, su una continuità, una logica inappuntabile, un discorso coerente che si approfondisce nella sua progressione. Fuso in uno stile espressivo fondato su una estetica che non è mai forzata, ma sempre meditata e riflessa in funzione delle diverse situazioni.


   Il film in Internet (Google)

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